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Progetto Fiorume
Il fiorume nella storia

L’utilizzo del fiorume per attività di inerbimento è un concetto ben radicato nella tradizione agricola: tutti gli agricoltori sanno bene di cosa si tratta, e questo miscuglio viene anche descritto in trattati e manuali sin dal XVII secolo.

Intorno al 1640 nel libro sesto de “L’economia del Cittadino in Villa”, l’autore Vincenzo Tanara lo consiglia per la creazione di un prato nuovo, dopo aver preparato il terreno con aratro, erpice, zappe e rastrello dentato:
“E perché [il terreno] non resti il primo anno affatto infruttuoso, se li può poner fave, col sopra seminarvi Trifoglio o fiorume di fenile”.

Il concetto viene ribadito e approfondito 150 anni più tardi, quando nell’Almanacco per gli agricoltori del Dipartimento del Reno per l’anno 1813, compilato e pubblicato dalla sezione agraria dell’Ateneo Bolognese, si dice:
“Così disposto il terreno si abbia pronta la semente. Perché questa fosse perfetta converrebbe raccoglierla qua e là nei prati prima di segarli, scegliendo solamente quelle piante e quelle porzioni di prato che si sono riconosciute le migliori. […]. Ma poiché è cosa assai difficile, che vogliansi usare sì fatte pratiche, così seguendo l’uso antico si seminerà il nuovo prato col fiorume raccolto nei Fenili.”

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E ancora nel 1835, Moretti G. & Chiolini C., in Elementi di Agricoltura teorico-pratica, sottolineano che “L’unica specie di combinata coltivazione di più erbe insieme, la quale possa meritatamente qui richiedere alcun cenno particolare, è quella che si ha dallo spargimento del fiorume […]. Esso non è altro se non un miscuglio di semi delle diverse erbe convertite in fieno, di pule, di fiori, di foglie e di fusti seccati e ridotti in polvere o in tenuissimi minuzzoli. […] che ogni qual volta venga sparso su un campo, dopo i necessari diligenti lavori, il fiorume, vi germoglieranno i semi che esso contiene […].”

I trattati storici danno anche precise indicazioni sulle caratteristiche che il fiorume deve avere, caratteristiche che dipendono innanzitutto dalla qualità del prato di origine. Scrivono ancora Moretti G. & Chiolini C.:
“Non ogni prato indistintamente fornisce erbe, che ridotte in fieno somministrino un buon fiorume da seminarsi per formare una prateria […]. Dunque nella scelta del fiorume da seminarsi, si abbia la mira a quello che è il residuo di un fieno raccolto in campi scevri, per quanto sia possibile, da erbe di cattiva qualità.”

Ulteriori indicazioni riguardano l’individuazione del corretto periodo di raccolta:
“Qualora troppo precoce fosse stata la mietitura delle erbe, il fiorume, indi ottenuto, conterrebbe de’ semi immaturi, non atti al germogliamento. […] A parità di circostanze, devesi preferire la pula del fieno ottenuto colla prima e seconda mietitura del prato a quella di ogni altra raccolta. Gli agricoltori della Lombardia adoprano quasi esclusivamente la pula del fieno maggengo, o sia del primo taglio.” (Moretti G. & Chiolini C., 1835).

Molti degli aspetti considerati da questi e altri manuali storici, sono oggi ripresi in chiave moderna, inclusa la necessità da parte di produttori e acquirenti di “andar traccia del [fiorume] migliore proveniente da prati di buona qualità, e prima di prenderlo sarà bene l’aver esaminato il fieno per non restar ingannato.”

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