Il fiorume nella storia
L’utilizzo del fiorume per attività di inerbimento è un concetto ben radicato nella tradizione agricola: tutti gli agricoltori sanno bene di cosa si tratta, e questo miscuglio viene anche descritto in trattati e manuali sin dal XVII secolo.
E ancora nel 1835, Moretti G. & Chiolini C., in Elementi di Agricoltura teorico-pratica, sottolineano che “L’unica specie di combinata coltivazione di più erbe insieme, la quale possa meritatamente qui richiedere alcun cenno particolare, è quella che si ha dallo spargimento del fiorume […]. Esso non è altro se non un miscuglio di semi delle diverse erbe convertite in fieno, di pule, di fiori, di foglie e di fusti seccati e ridotti in polvere o in tenuissimi minuzzoli. […] che ogni qual volta venga sparso su un campo, dopo i necessari diligenti lavori, il fiorume, vi germoglieranno i semi che esso contiene […].”
I trattati storici danno anche precise indicazioni sulle caratteristiche che il fiorume deve avere, caratteristiche che dipendono innanzitutto dalla qualità del prato di origine. Scrivono ancora Moretti G. & Chiolini C.: “Non ogni prato indistintamente fornisce erbe, che ridotte in fieno somministrino un buon fiorume da seminarsi per formare una prateria […]. Dunque nella scelta del fiorume da seminarsi, si abbia la mira a quello che è il residuo di un fieno raccolto in campi scevri, per quanto sia possibile, da erbe di cattiva qualità.”
Molti degli aspetti considerati da questi e altri manuali storici, sono oggi ripresi in chiave moderna, inclusa la necessità da parte di produttori e acquirenti di “andar traccia del [fiorume] migliore proveniente da prati di buona qualità, e prima di prenderlo sarà bene l’aver esaminato il fieno per non restar ingannato.”
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